Un recente articolo uscito sul New York Times (Steve Jobs Was a Low-Tech Parent) riporta come gli appartenenti alle elite al comando del settore tecnologico seguano regole di vita molto diverse da quelle che consigliano alla gente comune.
L’articolo rivela che il celebre CEO della Apple proibisse ai propri figli di giocare con uno dei dispositivi più popolari al mondo: l’IPad.
“I tuoi figli usano l’IPad?” ho chiesto a mister Jobs. “A loro non permetto di usarlo” ha risposto. “Faccio in modo che usino poco questi dispositivi.”
A quel punto ho reagito con un sussulto e un silenzio attonito. “Ho sempre pensato che la tua casa fosse una sorta di paradiso per nerd: intere pareti trasformate in giganteschi display touch; il tavolo da pranzo disseminato di iPad e iPod a disposizione degli ospiti come cioccolatini su un cuscino.”
“Niente affatto“, mi ha confidato Jobs. “Sei molto lontano dalla realtà delle cose.”
Dopo quel giorno ho incontrato altri pezzi grossi dell’industria tecnologica, i quali mi hanno risposto tutti in modo simile: si dichiarano estremamente rigorosi nel limitare l’uso di gadget tecnologici per i rispettivi figli, spesso negandoglieli durante la settimana scolastica e fissando rigidi limiti orari anche nei fine settimana.
Purtroppo il Times non ha reclamato da Jobs una spiegazione più approfondita in merito al suo regime di rigorosa proibizione parentale del ‘dispositivo usato oggigiorno da milioni di bambini in tutto il mondo’, tuttavia è assodato che in generale le élite si rapportino alla tecnologia in modo simile al celebre guru, dettaglio che non fa che suggerire l’esistenza di un doppio standard di educazione dei figli; quello della classe dirigente e quello delle classi inferiori.
Il doppio standard è evidente se si considera i comportamenti di gente miliardaria come l’ex CEO di Microsoft Bill Gates, che con la sua fondazione spende milioni di dollari per supportare la scuola pubblica e gli standard di formazione di base comuni, ma poi manda i figli a studiare presso istituti privati dove gli standard di formazione di base comuni non sono adottati.
Un altro articolo del New York Times dal 2011 (A Silicon Valley School That Doesn’t Compute) ha rivelato che le scuole private riservate ai figli delle elite proibiscono l’uso dei computer, ponendosi in netto contrasto con l’alluvione di pc che negli ultimi 20 anni ha inondato le scuole pubbliche.
“Il capo ufficio tecnologico di eBay ha iscritto i figli presso una scuola formata da sole nove aule. Stessa cosa dicasi per il personale di giganti della Silicon Valley quali Google, Apple, Yahoo e Hewlett-Packard. Ed i principali strumenti didattici di questo istituto sono tutto fuorché tecnologici: carta e penna, ferri da maglia e a volte creta. In questa scuola non si trova un pc nemmeno a cercarlo. Nessun monitor. Non sono ammessi in aula e l’istituto ne scoraggia l’uso perfino sul fronte domestico.
Le scuole pubbliche si sono affrettate ad attrezzare le aule con i computer, e molti politici continuano a ripetere che non allinearsi al ‘progresso’ sarebbe una cosa stupida. Eppure proprio nel cuore del polo tecnologico mondiale, genitori ed educatori agiscono in modo diametralmente opposto: computer e scuola non vengono mai mischiati.
Mentre le scuole pubbliche si vantano delle loro aule cablate, la Waldorf School ha un essenziale look retrò: lavagne con gessi colorati, scaffali pieni di enciclopedie cartacee, scrivanie in legno con cartelle di lavoro e matite.
Le classi di quinta elementare lavorano anche sulla maglieria; usano aghi in legno per comporre campioni di tessuto. I responsabili scolastici affermano che si tratti di una attività utile allo sviluppo di problem-solving, abilità matematiche e coordinamento. Scopo finale: confezionare calzini.
Come afferma l’ex policy advisor del Dipartimento dell’Istruzione statunitense Charlotte Thompson Iserbyt nel suo libro: La Deliberata Involuzione dell’America, l’introduzione dei computer nelle scuole fa parte di un programma ad ampio spettro in azione ormai da decenni, il cui fine ultimo è la creazione di un sistema educativo che formi una nazione di lavoratori robotici e senza cervello.
“La richiesta di un’America socialista, naturalmente, richiede che le scuole abbandonino i classici metodi di insegnamento sostituendoli con una specifica ‘formazione di forza lavoro’ o technademics che soddisfi le esigenze dell’economia pianificata“, scrive Iserbyt nell’ultima edizione del suo lavoro.
La Iserbyt evidenzia anche un articolo del 1972 scritto dalla ricercatrice pedagogica Mary Thompson, che sottolinea come l’uso della tecnologia in classe, tra le altre cose, sia parte di un sistema finalizzato ad istituire l’insegnamento a distanza, ‘innovazione’ che condurrebbe all’arretramento del ruolo degli insegnanti ‘a meri tutor e sorveglianti.’
Dall’articolo di Mary Thompson:
“Sveglia, docenti; il vostro lavoro sta per essere esternalizzato come è accaduto con l’industria, l’ingegneria e altre professioni. I vostri sindacati non saranno capaci di opporsi alla trasformazione più di quanto abbiano fatto altri sindacati di settore in favore dei disoccupati che la tecnologia ha creato nelle fabbriche. Gli studenti saranno gradualmente riprogrammati per diventare api operaie funzionali alle economie globali.”
Inoltre le élite limitano l’esposizione ai monitor dei loro figli anche per prevenire problemi di salute. L’anno scorso, un rapporto rapporto AFP ha affermato che “i tablet possono causare difficoltà di sviluppo e altri problemi tra cui autismo e disturbo da deficit di attenzione.”
Altri rapporti documentano come monitor, smartphone e tablet stiano conducendo ad un incremento dei disturbi della vista e dell’insonnia tra i “bambini dipendenti dall’uso di simili dispositivi.” Inoltre le onde wireless utilizzate da numerosi gadget tecnologici sono state associate a rischi per la salute, ad esempio: il cancro (v. correlati).
Il fatto che le elite al potere limitino consapevolmente i loro figli nell’uso di tali dispositivi, e li iscrivano a scuole che ne sono prive, mentre contemporaneamente ne promuovono l’uso da parte della popolazione comune è la prova dell’esistenza di una strategia con cui si intende creare una futura forza lavoro composta da cittadini istupiditi.
A. Salazar
Articolo in lingua inglese pubblicato sul sito Infowars