Il premier “rifiuta” 120 miliardi di euro
Il premier “rifiuta” 120 miliardi di euro (tacito accordo per complicità?)
Truffa dello spread, il governo rinuncia a costituirsi parte civile contro le agenzie di rating di: Renato Farina
«Non ti pago», dice una commedia di Eduardo. In questo caso bisognerebbe cambiare il titolo, e trasformarlo in tragedia: «Non pagarmi!».
Chi non vuole il conquibus di spettanza non è un danaroso cittadino, ma uno Stato pieno di debiti: l’Italia.
Ma il nostro governo nelle persone di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan non ne vuole sapere.
Non è questione di misericordia verso i miseri.
A dover mettere mano al suo gigantesco portafoglio non sarebbero quattro poveri pirla in bancarotta, ma alcune tra le multinazionali più danarose al mondo che hanno manipolato il mercato rischiando di mandarci tutti in malora e comunque consentendo agli speculatori di infilare le zampe ungulate nelle tasche dei risparmiatori.
Qual è la cifra? Minimo 5 miliardi. L’Italia invece non vuole essere risarcita. Il perché è insondabile.
Due possibilità: distrazione e dunque incompetenza o complicità.
Intanto i fatti sono i seguenti.
Le agenzie di rating Standard & Poor’s e Ficht nel secondo semestre del 2011 (occhio alla data) declassarono i nostri buoni del Tesoro valutandoli quasi come spazzatura.
Conseguenze due:
- La prima finanziaria: balzo in su del famoso spread, ingenti interessi (circa 5 miliardi) pagati in più dallo Stato. Svalutazione dei risparmi degli italiani. Sfregio all’immagine del sistema Italia. Necessità di manovre finanziarie sanguinose.
- La seconda politica. La valutazione ufficialmente imparziale di S&P e Fitch diventò l’arma di Merkel e Sarkozy, nonché del Partito democratico, per sostituire Berlusconi con Monti.
Siamo alla triplice messa tra parentesi della democrazia. C’è un però. La Procura di Trani ha avuto la faccia tosta di investigare non i ladri di mele e pere, ma si è procurata la foto della rapina del secolo ai danni dell’Italia.
E l’ha descritta a un giudice terzo, che ha constatato che il mercato in quel 2011 fu manipolato.
La Repubblica e la sua democrazia gambizzate dalle agenzie di rating per favorire la speculazione e un corso politico più gradito ai grandi poteri esteri e interni. Insomma la valutazione sulla solvibilità dell’Italia è stata un crimine. Merce intossicata, analisi farlocche.
Insomma il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto le prove fornite da un PM coraggioso, Michele Ruggiero, per andare a processo.
Il reato: «Manipolazione del mercato».
E del resto il Giornale ha pubblicato un volumetto che ripropone la requisitoria di Ruggiero («Un golpe chiamato rating»).
Si poteva anche intitolare: Davide di Trani contro Golia di Wall Street.
La prima udienza del processo c’è stata il 4 febbraio.
La vittima del reato, la parte offesa, è lo Stato italiano. Pur informata di tutto, la presidenza del Consiglio ha rifiutato di costituirsi parte civile e così pure il ministero dell’Economia.
Il processo potrebbe finire in due soli modi.
- Ipotesi maggiore. Gli imputati, cioè i dirigenti italiani delle due agenzie, sono assolti, perché non hanno agito con dolo. Benissimo, contenti per loro.
- Ipotesi subordinata. Hanno sbagliato in buona fede, e dunque il risarcimento va trattato in sede civile.
In entrambi i casi, un tesoro da portare a casa Italia. C’è un precedente istruttivo.
In America, pochi giorni fa, S&P ha patteggiato una multa da un miliardo di dollari con il Dipartimento della giustizia per essersi sbagliata nella valutazione di obbligazioni di Lehman Brothers acquistate da finanziarie coperte da assicurazioni federali. S&P si è dimostrata collaborativa.
In Italia a non collaborare è invece il governo. Perché? Boh. Interessi oscuri? Paura di veder emergere complicità indicibili in quel secondo semestre del 2011? Accordo tacito di non belligeranza con le agenzie, per timore di vendette? Intanto buttiamo via un sacco di soldi.
Il procuratore generale del Lazio della Corte dei Conti ha stimato che «il danno che lo Stato italiano ha subito, pagato da tutti, con manovre finanziarie», a cui vanno aggiunte le ferite morali, va oltre i 120 miliardi di euro (cen-to-ven-ti). Esagerato? Forse. Ammettiamolo. Vogliamo dividere per cinque? Sono 24 miliardi.
In sede di patteggiamento sono minimo 10. Questa omissione, se non vuole trasformarsi in complicità morale intollerabile, si può forse sanare.
La seconda udienza è il 5 marzo prossimo. E con bravi avvocati dello Stato è possibile farsi riammettere come parti civili. Ma non lo faranno, né Renzi né Padoan.
Forse da Londra non vogliono la nostra costituzione di parte civile.
A proposito di Costituzione, sulla quale Renzi e Padoan hanno giurato, ci sarebbe però anche l’art. 47 che dichiara: «La Repubblica… tutela il risparmio in tutte le sue forme».
Non c’è scritto che tutela le agenzie di rating.
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