A maggio 2010 precisamente il 23, a partire dalle ore 6:00 (in Italia) e contemporaneamente in tutto il resto del mondo è andato in onda l’ultimo episodio della serie televisiva ‘Lost’, serie di culto degli ultimi sei anni.
La storia dei naufraghi del volo 815 della Oceanic Airlines è giunta a conclusione ed è quindi giunto il momento di tirare le somme su quella che, a torto o a ragione, è stata considerata come la serie televisiva più interessante degli ultimi anni.
Per quanto Lost sia apparsa fin dai primi episodi qualcosa di sorprendente, in grado di tenere lo spettatore incollato davanti allo schermo, bisogna dire che di nuovo non presenta assolutamente nulla. L’idea brillante degli ideatori J.J. Abrams, Lindelof e Lieber è stata quella di ottimizzare l’uso di tecniche ben note: il flashback e il flashforward. Alternando queste due tecniche, ponendole in parallelo, si è riusciti ad attirare in maniera egregia l’attenzione del pubblico, a tenere alta la suspense e a provocare lo sbigottimento di fronte ai numerosissimi colpi di scena. (E quindi a vendere ad un prezzo alto gli spazi pubblicitari, ma ne parlerò tra poco).
Ma Lost non è stato solo questo. Volutamente o meno, Lost ha fatto perno sulle paure ancestrali dell’uomo come le catastrofi, una terra, un’isola con tutto il senso di solitudine che ne deriva, sconosciuta e misteriosa, la possibilità (o meno) di determinare il proprio destino e quindi il peso della responsabilità della scelta, i conti con il passato, l’angoscia del futuro, soprattutto di un futuro che appare già determinato.
Poi i tanti riferimenti culturali, volutamente ribaltati. Molti personaggi di Lost hanno il nome di personaggi famosi della cultura mondiale, ma il personaggio sembra essere un’antitesi del personaggio storico: abbiamo così una giovane Austen ricercata dalla legge, un John Locke che fa i conti con la fede, con Dio e i miracoli, un Bakunin che si rivela essere un fedele servitore, un Faraday che sembra parlare più di magia che di scienza, uno Hume tutt’altro che scettico e in grado di sapere con esattezza cosa accadrà nel futuro.
Gli ammiccamenti al pubblico (colto e meno colto, sono presenti infatti anche molti riferimenti alla cultura così detta pop) sono molteplici. Forse troppi.
L’impressione che si ha, dopo aver visto l’ultima puntata, è che Lost abbia fallito nel suo intento di essere un’opera completa, nel suo tentativo di far sognare, anche facendo ricorso alla costruzione di una mitologia alternativa (lo scontro, per esempio tra Jacob e la sua Nemesi, che richiama i due fratelli, Giacobbe e Esaù, biblici).
Ma perché Lost ha fallito, se di fallimento vogliamo parlare?
Si potrebbe pensare che Lost sia collassata su se stessa: troppi misteri, troppe sottotrame, troppi spunti di trama lasciati morire. E questo sarebbe da imputare agli sceneggiatori, che hanno perso il controllo della loro opera, un errore fatale. Ma poco credibile in uno scenario di cinema e serial industriali come quello Hollywoodiano collaudato e a prova di bomba. Bisogna guardare a Lost come ad un fallimento, senz’altro, ma solo apparente.
Se oggi a dominare il panorama televisivo non è (più) la qualità ma l’indice d’ascolto e l’unico obiettivo è quello di piazzare più occhi possibili davanti a ciò che un determinato canale trasmette pur di poter vendere a prezzi alti gli spazi pubblicitari, si può dire davvero che Lost sia stato un prodotto scadente?
Non si deve piuttosto dire che Lost si è rivelato essere il frutto (malato di un albero malato) di un certo tipo di televisione: di quella televisione che ricorre a qualsiasi mezzo per attirare la nostra attenzione con solo scopo di attirare la nostra attenzione? E’ del resto significativo il fatto che per la prima volta ad essere trasmessa in contemporanea mondiale non è un avvenimento sportivo o il discorso di un politico o un evento di portata storica, ma un episodio di una serie televisiva.
Abbiamo incassato, “well done!”.
E’ stato un peccato, è stata un’occasione persa.
Poteva essere una serie davvero di culto, si è dimostrata invece solo uno specchietto per allodole.
Certo ci siamo emozionati, ma tutte le emozioni degli anni precedenti non ripagano certamente della delusione finale. E’ mancato il terreno sotto i piedi.
Appaiono dunque fuori luogo, con il senno di poi, i vari accostamenti di chi paragona Lost a Twin Peacks di David Lynch.
Non scherziamo.
Twin Peaks era un’opera completa, organica, che stava in piedi da sola: come un’opera d’arte; e l’alto gradimento è stato solo un’ovvia conseguenza. La televisione solo un mezzo.
Lost è risultato un trucco vuoto, uno stratagemma per avere molto ascolto, e al diavolo il prodotto.
Nardino D’Angelo