Lavoro: le bugie dei governi, le lotte dei lavoratori
Se dovessimo stilare una classifica delle menzogne dei nostri politici, a cominciare da quelle a più riprese sparate dal Sig. “mi dimetto quando lo dico io”, Napolitano, o dell’ultimo arrivato non votato, Sig. Renzi, quella che vincerebbe su tutte è la fandonia del “lavoro” ed è anche quella più indicativa delle incapacità, ormai accertate, di questi premier e ministri “per caso”.
Riforme su riforme, sostenute e portate avanti dai grandi “cervelli” italici, da professoroni che a tavolino studiano e ristudiano come peggiorare le condizioni di vita, i salari e le tutele di chi lavora, con l’eterna scusa della competitività e con il perenne risultato di una precarizzazione selvaggia, di un aumento esponenziale degli infortuni, anche mortali, sul lavoro, e di un peggioramento occupazionale, ci pongono tra i peggiori paesi europei (proprio in queste ore viene confermato che solo la Grecia sta peggio di noi). Sindacati accondiscendenti e complici di politiche fallimentari, informazione reticente sui drammi di chi perde il lavoro, sulle lotte di chi difende i propri diritti, sono il contorno di quel potere che non vuole mutare equilibri necessari al suo mantenimento e alla sua figura di mediatore del nulla nazionale.
Scompaiono, di conseguenza, dalle pagine dei quotidiani e dalle agende dei sindacati confederali, le lotte di quei lavoratori capaci di organizzarsi al di fuori di schemi predefiniti e perdenti, di chi ancora vede nell’unificazione delle lotte operaie e dei lavoratori e nella difesa dei diritti di tutti l’unica arma in grado di affermare anche i propri, l’unico mezzo a disposizione per ritornare ad essere protagonisti del proprio futuro.
I facchini dell’Ikea di Piacenza, in lotta da due anni per un salario “umano” (alcuni di loro percepivano buste paga di 400 euro mensili) e per una più giusta distribuzione dei carichi di lavoro, si sono trovati contro tutti, a cominciare dai sindacati confederali, sino a quasi tutto l’arco parlamentare, dalla Lega al PD, per finire alle istituzioni locali ed ai mezzi di “informazione” che hanno tentato, in tutti i modi, di fiaccare le lotte, di far passare chi protesta per “delinquente” se non “terrorista”, di spezzare quella rete di sostegno alle iniziative dei lavoratori, mossasi soprattutto grazie al Si.cobas e creatasi attorno a loro, sino ad arrivare all’identificazione, da parte della Digos, delle persone che si presentavano a sostegno ed a solidarizzare con i lavoratori. Ora l’azienda, sconfitta nelle varie vertenze dall’unità dei lavoratori, ha licenziato, per rappresaglia, 33 facchini, quelli più sindacalizzati, scatenando altre proteste ed altre manifestazioni.
I lavoratori Innova di Arese e i lavoratori Telcom di Ostuni hanno vissuto storie simili. Anche per loro nessuna solidarietà né dalle istituzioni e meno che meno dai sindacati confederali. Le vertenze messe in campo, contro licenziamenti palesemente illegittimi, hanno visto entrambe le realtà vincenti in sede giudiziaria…ma in Italia non basta vincere una causa, devi continuare a lottare se vuoi ottenere che i tuoi diritti siano rispettati. Difatti, al momento, nessun reintegro, benché le sentenze parlino chiaro. Addirittura ad Arese le istituzioni hanno ben pensato di smantellare la sede sindacale (Slai cobas) dei lavoratori in lotta, che hanno ricevuto solidarietà solo dal M5S e dal PDCI PRC (in presidio a difendere la sede); ad Ostuni l’azienda ha chiesto la sospensione della sentenza a suo sfavore per imprecisati problemi di organizzazione interna, richiesta respinta dal giudice, e qui la solidarietà non si è vista da parte di nessuno.
Inutile dire che quello che questa pagina può riportare è solo la minima parte di quelle realtà che lottano, lontano da Cgil Cisl e Uil, sindacati ormai completamente parte integrante del sistema, separate da quella catena di sottomessi interessi personali tipici della politica nostrana, per un futuro migliore, per quei diritti cancellati, per quelle speranze scritte, a caratteri cubitali, nella nostra Costituzione.
In ultimo, ma non per ultimi, vanno segnalati quei lavoratori, di Cgil e Cisl, licenziati senza motivo e senza alcuna salvaguardia, calunniati, privati di ogni salvaguardia, descritti come ladri o come nullafacenti da quelle organizzazioni che in piazza rivendicano i diritti, e nelle loro stanze li negano.
Il paese, nel dramma lavoro, si specchia nella sua perenne contraddizione, nel suo male vincente e nel suo bene perdente, nel voler a tutti i costi credere nei ladri, senza alcuna fatica, stesi davanti al proprio PC o alla propria televisione, e lasciare da soli chi lotta per quei diritti di tutti, difendendo il proprio orticello, sempre più piccolo, sempre più esiguo e arido, pur di non muovere un dito per se stessi e, soprattutto, per gli altri.
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