Cirino Pomicino svela verità nascoste e la storia sulle stragi di mafia
Un agghiacciante articolo-documento di Cirino Pomicino sulle stragi di mafia. “Violante Enzo Scotti, Arlacchi, su Capaci e via D’Amelio giocano con l’oblio del tempo“.
“Non ci sto” di Scalfaro non legato ai fondi neri Sisde ma alla trattativa mafia-stato. L’accordo fu tra mafia e una parte della politica con servizi italiani e stranieri.
Falcone Stava indagando sull’uscita dalla Russia di ingenti somme di denaro del Kgb.
Paolo Cirino Pomicino per il “Secolo XIX”.
In queste settimane siamo stati travolti da un effluvio di interviste sulle stragi di via D’Amelio e di Capaci in cui morirono Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, piene di ricordi sbiaditi che non fanno onore alla verità storicamente accertata.
Luciano Violante, Enzo Scotti, Pino Arlacchi, Oscar Luigi Scalfaro giocando nell’oblio del tempo hanno detto cose che non stanno né in cielo né in terra.
A cominciare dal famoso «Non ci sto» scalfariano legato ieri ai fondi neri dal Sisde e oggi, invece, collegato al rifiuto di una trattativa tra mafia e Stato.
La riapertura delle indagini della Procura di Caltanissetta sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino ha dato il via a una sarabanda di ricordi falsi, naturalmente in buona fede, che rischiano ancora una volta di allontanare la verità che molti sanno e che per paura non dicono diventando così complici di chi tradì la Repubblica a cavallo degli anni Novanta.
Per consentire a ciascuno dei lettori di farsi una propria opinione è bene ricordare i fatti storicamente accertati:
1) sono stati sempre noti i collegamenti negli anni ’89-‘93 tra alcuni gradi dei servizi italiani e stranieri e alcuni mafiosi.
Dal rapporto riservato e non autorizzato con Totuccio Contorno del prefetto Domenico Sica e del capo della Criminalpol Gianni Di Gennaro, agli uomini che visitarono nel carcere inglese di Full Sutton il mafioso Francesco Di Carlo per chiedergli indicazioni sui possibili killer per uccidere Giovanni Falcone sino al rapporto con Vito Ciancimino del generale de i carabinieri Mario Mori.
Mentre nel primo e nel terzo caso i rapporti possono inquadrarsi in un lavoro di intelligence per colpire la mafia, nel secondo caso, quello del pentito Di Carlo, gli obiettivi erano di natura mafiosa;
2) nel settembre del 1989 il decreto legge Andreotti-Vassalli allunga il periodo di carcerazione preventiva agli imputati di associazione mafiosa.
Il vecchio Pci con Violante fa una tremenda requisitoria contro il governo e vota contro
3) alla fine dell’estate del ‘90, secondo gli accertamenti del pm di Caltanissetta Luca Tescaroli, c’è un contatto tra alcuni capi mafiosi (Totò Riina o Bernardo Provenzano) e un non meglio identificato agente istituzionale per discutere della reazione stragista alla legislazione antimafia dell’epoca;
4) nello stesso anno, Francesco Di Carlo riceve nel carcere inglese di Full Sutton un agente dei servizi siriani, tal Nazzar Hindaw, insieme a quattro persone, tre mediorientali e un italiano. Questi gli chiesero di indicare qualcuno che poteva aiutarli a uccidere Giovanni Falcone. Di Carlo fece il nome di Antonino Gioè, che infatti partecipò alla strage di Capaci, fu arrestato e un mese dopo fu trovato impiccato nel carcere di Rebibbia;
5) il 23 dicembre ‘91 viaggiano casualmente sullo stesso volo Roma-Palermo Luciano Violante e Giovanni Brusca, già all’epoca noto mafioso;
6) tre mesi dopo il piemontese Luciano Violante fu capolista a Palermo del vecchio Pci nelle elezioni politiche del 1992 e in quella occasione nasce il movimento della Rete di Leoluca Orlando, che prende in Sicilia il 9% salvo a sparire qualche tempo dopo;
7) il 5 marzo 1992 c’è l’omicidio di Salvo Lima;
8) il 17 marzo 1992 Vincenzo Scotti, ministro dell’Interno, allerta le prefetture di tutta Italia preannunciando un piano di destabilizzazione istituzionale.
Questo piano prevedeva attacchi mafiosi e indagini giudiziarie su tutti i leader dei partiti di governo.
Quarantotto ore dopo Scotti si rimangia tutto davanti alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato;
9) il 23 maggio 1992 Falcone e la sua scorta saltano in aria;
10) ai primi di luglio ‘92, uno scritto anonimo inviato a tutte le autorità descriveva tutto ciò che poi sarebbe accaduto nei mesi successivi sugli attacchi mafiosi, sulle indagini di Tangentopoli e sull’impunità dei mafiosi pentiti;
11) il 19 luglio ’92 Borsellino e la sua scorta saltano in aria in via D’Amelio;
12) nel settembre ‘92 a casa Scotti, non più ministro, il capo della polizia Vincenzo Parisi e il capo di stato maggiore dell’arma dei carabinieri, generale Domenico Pisani, confermarono al neoeletto segretario della Dc Mino Martinazzoli la veridicità dell’informativa del marzo precedente per la quale lo stesso Scotti prima aveva allertato le prefetture e poi ne aveva smentito il valore;
13) nel gennaio del ‘93 viene arrestato Totò Riina;
14) nella primavera del ‘93 arrivano le bombe mafiose di Milano, Firenze e Roma e subito dopo i programmi di protezione incominceranno a scarcerare mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti (oltre 3 mila nei dieci anni successivi) così come aveva previsto il documento anonimo del luglio ‘92.
Ultimo dato da ricordare.
Pochi giorni dopo la sua morte, Giovanni Falcone doveva incontrare, come è documentato da un telex alla Farnesina, Valentin Stepankov, procuratore generale di Mosca che indagava sull’uscita dalla Russia di ingenti somme di denaro nella disponibilità del Kgb, molti agenti del quale gironzolavano indisturbati per mezza Europa.
Questi alcuni fatti
Adesso un’opinione, una considerazione e un consiglio. L’opinione.
La tenaglia fra stragi mafiose (Falcone, Borsellino) e inchieste giudiziarie sui finanziamenti ai partiti di governo ha scansioni temporali e obiettivi troppo simili per non immaginare un “oggettivo” coordinamento tra di loro che produsse effetti devastanti sul sistema politico italiano.
L’accordo, infatti, non fu tra mafia e Stato, ma tra mafia e una parte della politica con l’aiuto di uomini deviati dei servizi italiani e stranieri e delle forze dell’ordine come si leggeva sul documento anonimo del luglio 1992 che Violante imputò ai carabinieri (se fosse vero, ancora una volta l’Arma avrebbe tentato di aiutare la Repubblica).
La considerazione
È molto strano che solo dopo 17 anni Violante dichiari che Ciancimino voleva parlare con lui come gli avrebbe detto il generale Mori.
È vero il contrario.
Fu Violante a chiedere a Mori di voler sentire alcuni mafiosi tra cui Ciancimino, come dimostrano i verbali del 29ottobre 1992, nell’ambito dell’indagine mafia-politica.
Violante era presidente dell’Antimafia e capogruppo Dc in quella Commissione era Vincenzo Scotti.
Il consiglio
Le forze politiche abbiano un sussulto di orgoglio e varino una Commissione parlamentare di inchiesta su quegli anni in cui la Repubblica fu tradita e certi servitori dello Stato, come Falcone e Borsellino, pagarono con la vita la lealtà verso la nostra democrazia.
E si faccia presto perché annusiamo sotto vento che è in preparazione un altro furibondo attacco alle istituzioni che presiedono alla legalità repubblicana con complicità attive e omissive impensabili e di cui presto torneremo a parlare.
Fonte
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