La grande bellezza in ogni caso

La Grande BellezzaAll’inizio di una recensione bisognerebbe mettere una frase ad effetto per catturare l’attenzione del lettore e portarlo quindi a continuare a leggere, oppure, iniziare con un riassunto della trama, per dare il giusto background e intavolare un giudizio critico in merito. Con questo film di Sorrentino non è possibile; semplicemente non è possibile fare nessuna delle due cose: per difetto o per eccesso.
Per difetto nel senso che qualsia frase ad effetto risulterebbe banale o povera nel tentativo si stiracchiarsi al massimo per abbracciare il film; per eccesso perché ci sono dentro troppe cose per poterle riassumere, o peggio: riassumerle logicamente.
Eppure qualcosa bisognerà dirla.
Partiamo dal titolo: ‘La grande bellezza’, che diavolo è questa grande bellezza? Carlo Verdone (Romano nel film), in un’intervista a Radio Tre ha detto che si tratta della giovinezza. Parte della critica italiana, salvo chi ha riconosciuto grandi meriti a Sorrentino, ha sostanzialmente bocciato il film, sintetizzando il giudizio in: mancanza di linearità.
La Grande BellezzaLa critica straniera, invece, ci ha visto Roma, l’Italia e, soprattutto l’italianità, fatta di tante cose dai bordi non definiti, cose che tra di loro si intrecciano, si soprappongono, due che ne diventano una terza e così via all’infinito, ma in circolo: un vecchio scrittore, Jep Gambardella (maestoso Toni Servillo), autore di un solo libro di dubbio successo – l’apparato umano – scrive oggi per una rivista; vive di notte, nelle feste in stile cafonal di Dagospia, sa come funziona questo paese, e coloro che lo abitano, e sa che è inutile spiegarlo a chi gli è di fronte; è affascinante, seduce le donne, ma non dedica loro il tempo che vorrebbero, perché è vecchio e sente il tempo che gli sfugge via.
Dentro questo perimetro romantico, languido e cupo che è Roma di notte, c’è tutto: il turista giapponese che appena vede Roma ha un attacco di cuore, un signore che ha a disposizione le chiavi di tutti i palazzi storici di Roma (e Jep lo conosce, ovviamente), una bambina sfruttata per il suo talento artistico frutto della frustrazione e della pressione dei suoi genitori, una vecchissima suora, sulla via della santità, a cena con un clero ingordo, vezzoso e vanesio. Funerali come recite. Ramona (interpretata da Sabrina Ferilli), donna romana (notare l’anagramma) verace, contraltare del personaggio di Verdone e scintilla di vita che rinfranca, culla e sprona il Gambardella a proseguire con i suoi progetti e con la sua vita di uomo e di intellettuale.
La Grande BellezzaCerto è chiaro che dentro questo film ci sia, anzi, è chiaro che questo film sia fatto di italianità, ma subito dopo bisognerebbe chiedersi, c’è l’Italia? Sì. Ma la risposta non è oggettiva, non è un fatto trovarci dentro l’Italia, è, più che altro, un’illusione ottica, un effetto degli specchi esseni: ci vediamo noi stessi negli atteggiamenti che approviamo e tutti gli altri nei comportamenti che denoterebbero la decadenza e la miseria di questo nostro Paese. Ma in questo marasma di comportamenti e vicissitudini made in Italy, rilevabili soggettivamente, c’è anche un retrogusto agro dato da un giudizio sostanzialmente negativo su quello che l’Italia sta diventando, attraverso quello che è. E se è vero che La grande bellezza è la giovinezza, la giovinezza dell’Italia è il suo passato, la bellezza è nel passato, e oggi c’è solo la decrepitezza, il botulino, le protesi di sostegno, il cerone, il trucco, le impalcature a tener su quello che rimane, finché dura.
La Grande BellezzaVe l’ho detto, e ve lo ripeto, è un film vasto, pieno di spunti, di riflessioni e di rimandi, interni ed esterni al film. A questo punto potrei dire che la recensione sebbene non si possa dire esaustiva, sia comunque per me, terminata, ma, devo ancora aggiungere qualche parola sulla critica italiana e su Toni Servillo.
Sulla critica italiana non mi dilungherò perché non è necessario. Somigliano, i critici italiani, a quei tizi che guardano i quadri del puntinismo troppo da vicino, e non riuscendo a capire cosa c’è disegnato, si incaponiscono nel dire che il quadro è brutto, o peggio, avvicinano ancora di più gli occhi alla tela, quando invece, semplicemente, basterebbe fare un passo indietro.
Toni Servillo invece mi limito a ricordare la dedica riservatagli dal giornale francese Le Figaro delle due pagine della sezione cultura; un evento, e un fatto rilevante se si considera che l’unico precedente simile c’era stato solo con: Marcello Mastroianni, amatissimo dal pubblico francese.
Le parole di elogio sono state molte, importanti:”è sul punto di prendere il posto di Mastroianni nel cuore del pubblico”, “Maestro Servillo”. Non c’è bisogno di aggiungere altro se non che questo film è candidato all’oscar come miglior film straniero. Da parte nostro un grande in bocca al lupo.

Nardino D’Angelo