Dal 26 marzo al 2 giugno Palazzo Reale ospita Piero Manzoni, uno degli artisti più geniali e innovatori del XX secolo, ricordandolo nel 50° anno dalla sua morte: la mostra monografica mette in luce 130 opere, alcune delle quali inedite.
Nato nel 1933 e venuto a mancare solo trent’anni dopo Manzoni è comunque riuscito a lasciare un segno indelebile nella storia dell’arte contemporanea, scardinando il modo tradizionale di fare arte e proponendo una sua personale visione del mondo.
La mostra, curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni, racconta il breve, ma intenso percorso dell’artista partendo dai suoi esordi. Nella prima sala sono infatti visibili le sue prime opere: quadri a fondo scuro, fortemente materici e caratterizzati da impasti di olio, catrame e smalto. Queste opere, arricchite da ripetute impronte di oggetti, come ad esempio delle chiavi, e immagini informi di ascendenza surreale, risultano totalmente differenti da quelle che invece ci accompagneranno per tutta la mostra: gli Achromes.
Manzoni iniziò a lavorare sugli Achromes, superfici bianche ricoperte di gesso e imbevute di caolino, dal 1957: da quel momento la tela diventa per l’artista uno spazio di totale libertà e scoperta che non ha come scopo quello di comunicare qualcosa perché è già di per sé arte. Questo è uno dei motivi per cui Manzoni decide di non attribuire titoli alle sue opere: il titolo non spiegherebbe nulla di più di quello che l’opera già è.
Durante tutto il percorso espositivo sarà possibile ammirare l’evoluzione degli Achromes manzoniani dal 1957 fino agli ultimi anni della sua vita. Già dal 1958 gli Achromes, da semplici tele bianche, iniziarono ad essere attraversati da righe orizzontali e verticali, rigonfiamenti o scanalature fino ad assumere l’aspetto di una griglia per poi giungere agli Achromes artificiali. I materiali utilizzati sono i più vari: dal cotone alla fibra di vetro, dal pane plastificato alle uova, dalla carta al polistirolo. In mostra sono presenti anche alcuni esempi di Achromes realizzati con cotone imbevuto di cobalto, in grado di cambiare colore al variare della luminosità e dell’umidità.
Una parte della mostra è invece dedicata al tema delle “Linee”. In molti dei suoi lavori Manzoni si propone di celare il contenuto dell’opera d’arte ed è proprio questo il caso delle Linee, realizzate in diverse lunghezze tra il 1959 e il 1961. L’opera consiste in una linea tracciata su un foglio di carta, arrotolato e posto all’interno di un cilindro di cartone etichettato. L’opera d’arte rimane così sottratta allo sguardo dello spettatore e quindi chiusa in “se stessa”. L’esistenza della linea può essere dimostrata dal pubblico solo attraverso uno sguardo interiore. Presente alla mostra la Linea più lunga realizzata da Manzoni: la Linea lunga 7200 metri venne realizzata nel 1960 a Herning in Danimarca e sigillata all’interno di un cilindro di zinco ricoperto di foglie di piombo.
Nel 1961 Piero Manzoni presenta per la prima volta al pubblico le scatolette di “Merda d’Artista” le cui etichette recitano: “contenuto netto gr.30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”. Il prezzo fissato dall’artista per le scatolette corrispondeva al valore dell’oro corrente all’epoca. L’importante novità introdotta da Manzoni è quella di aver strettamente collegato l’artista con la propria opera. L’artista stesso e tutto ciò che viene prodotto dal suo corpo si offre al pubblico come opera d’arte, tanto che i suoi escrementi arrivano a essere considerati importanti reliquie. Molti esempi, visibili in mostra, sono proprio legati a questo argomento: dalla Merda d’Artista al Fiato d’Artista, palloncini gonfiati dal respiro vitale e artistico di Manzoni, fino a giungere al progetto, mai realizzato a causa della sua precoce morte, del Sangue d’Artista, boccette di vetro che avrebbero dovuto contenere il sangue di Manzoni.
Molte opere manzoniane sono state pensate per coinvolgere attivamente il pubblico; anche quest’ultimo è infatti chiamato a partecipare all’opera d’arte, seguendo le orme dell’artista. Il 21 giugno 1960, nel corso della performance “Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte”, Manzoni offre al pubblico alcune uova sode da mangiare, dopo avervi impresso l’impronta del proprio pollice. Attraverso l’uovo, diventato reliquia dal contatto con l’artista, il pubblico entra in comunione con lui.
Passo ulteriore attuato da Manzoni è quello di permettere ad ogni persona di diventare un’opera d’arte. A questo scopo crea le “Basi Magiche”, una delle quali presente in mostra. Ogni persona, salendo sul piedistallo di legno, potrebbe scoprirsi opera d’arte.
Elisa Giulia Chiesa