Altro che quarantena o esami: sui barconi non ci sono controlli
Il medico sale a bordo. Sul barcone stracolmo. Scruta quelle facce stremate. Valuta in pochi secondi lo stato di salute. L’Italia anti Ebola funziona così, ad occhio.
L’unica fortuna, si fa per dire, è la rapidità con cui si manifesta la malattia. Dieci-dodici-quindici giorni.
I migranti che premono alle porte dell’Italia dovrebbero ammalarsi prima di sbarcare.
Perché i viaggi della speranza durano spesso settimane e settimane se non mesi. Ma è un calcolo teorico. Oggi il solo filtro è l’occhio del medico.
«Non esiste una cintura sanitaria – spiega Gianni Tonelli, poliziotto e sindacalista del Sap – vale per la Tbc, vale per la poliomelite, vale naturalmente anche per Ebola».
E la diagnosi veloce se non tempestiva si gioca tutta in una sorta di esame collettivo.
«Quando un barcone entra nei nostri porti – prosegue Tonelli – un medico sale a bordo e dà un’occhiata ai clandestini».
Sì, la visita si basa su uno sguardo, magari più attento se il poveraccio se la passa male.
«In questo momento – insiste Toneli – sugli emigranti non si fa alcun tipo di esame strumentale o di minimo approfondimento. Niente controlli del sangue o delle urine, per intenderci».
Chi vuole, a terra, con calma, va a farsi vedere dai medici di Emergency, presenti nelle strutture di accoglienza.
Si va avanti all’italiana, fra un arrivo e l’altro.
E il ministro della salute Beatrice Lorenzin prova persino a tranquillizzare l’opinione pubblica: «Abbiamo avuto modo di effettuare 80 mila controlli nell’ambito dell’operazione Mare nostrum. I controlli sono stati fatti a bordo delle navi e a terra e per questo è altamente improbabile che siano entrati in Italia migranti affetti da Ebola».
Sarà, basta intendersi sul significato della parola controllo.
«Qua ad Augusta – spiega al Giornale un agente in prima linea – fra sabato e domenica sono arrivati quattro barconi. E le garantisco che con i clandestini può sbarcare l’Hiv, la Tbc, Ebola e qualunque altra malattia. È tutto nelle mani di un medico che si aggira fra centinaia di disperati. Poi, certo ci sono i centri di prima accoglienza. Chi vuole o non sta bene può farsi vedere e qualcuno lo fa. Ma in generale caos e approssimazione la fanno da padroni. Individuiamo i casi di scabbia perché si notano quasi a prima vista. E se uno sta male lo portiamo in ospedale. Tutto qua».
Anzi no, perchè al peggio non c’è limite. Nemmeno nelle acque di Mare nostrum.
«Buona parte dei clandestini – tuona un agente – sparisce letteralmente nel nulla. Altro che screening o prevenzione o quarantena. Questi signori se ne vanno senza nemmeno essere fotosegnalati».
E qui la tragedia diventa una commedia all’italiana.
Nei giorni scorsi l’Europa, indignata, ha tuonato contro la politica del tirare a campare del nostro governo: i migranti vengono salvati in mezzo al mare, ma poi li si lascia andare via senza prendere loro le impronte digitali.
Così il cerino passa di mano. Il cerino riguarda soprattutto eritrei e siriani.
L’Europa scopre le loro richieste d’asilo non a Lampedusa o Pozzallo ma a Stoccolma, Londra, Oslo.
Dopo la tirata d’orecchie dell’Europa il Viminale ha inviato una circolare in cui imponeva la fotosegnalazione dei migranti. Come dire, il minimo sindacale.
«Ma qua – risponde dalla Sicilia uno degli agenti – non è cambiato nulla. Io vado nei centri ma le assicuro che è difficile prendere le generalità a un fantasma».
Quanti sono quelli che se ne vanno?
Le stime divergono: c’è chi parla di un sessanta, settanta per cento, altri abbassano l’asticella al trenta per cento. La sostanza è che ci sono migliaia di persone a spasso fra l’Italia e l’Europa di cui non sappiamo nemmeno il nome. Figurarsi eventuali precedenti penali, patologie o infezioni.
Il ministro dà i numeri, quelli ufficiali, i poliziotti incrociano le dita.
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