Restrizione calorica: la chiave che apre lo scrigno della lunga vita

Restrizione caloricaAffrontiamo in questo articolo un tema un po’ più prosaico, ma che nasce da una domanda che l’essere umano si è sempre posto da quando ha sviluppato il pensiero razionale, la concezione dello spazio e del tempo e l’autocoscienza: si può vivere per sempre?
Al di là di arcaici miti, famose leggende e credenze popolari, la scienza cerca davvero delle soluzioni, se non per vivere in eterno, perlomeno per vivere molto più a lungo di quella che è l’aspettativa di vita odierna. Sappiamo tutti oggigiorno che per vivere bene ed in salute bisogna fare esercizio fisico, vivere senza stress e mangiare bene, ma parrebbe da studi clinici che l’unica pratica fino ad ora acclarata per vivere più a lungo sia appunto la dieta e, nello specifico, la restrizione o deprivazione calorica.
Prima di affrontare l’argomento ci teniamo a precisare che noi non siamo dietologi, esperti di alimentazione o medici di qualsiasi branca, quindi le nostre osservazioni sono esclusivamente a fine speculativo ed “accademico” e non suggerimenti da mettere in pratica; evitate diete fai-da-te e rivolgetevi sempre ad un esperto se volete affrontare un cambiamento del vostro regime alimentare.
Premesso questo, esaminiamo i dati…
La longevità massima degli esseri umani è stata fissata dagli studiosi tra i 110 e i 120 anni; in base a documentazione storica a disposizione infatti, nessun uomo è mai vissuto più di 124 anni. La longevità dei topi, le classiche cavie da laboratorio, è di circa 39 mesi ed è proprio nella sperimentazione animale che un approccio dietetico ha condotto a dei risultati incredibili: infatti finora gli unici topolini vissuti oltre i 39 mesi sono stati prodotti solo dalla restrizione selettiva delle calorie disponibili nella loro dieta, prolungandone la vita media e registrando anche incrementi superiori al 50 ed al 100 per cento; la restrizione calorica ha esteso la longevità massima dei topi da 39 a 56 mesi di media, che, in termine umani, corrisponderebbero in proporzione a 158 anni. Inoltre, i topi longevi rimangono giovanili nell’apparenza, nelle abilità sia fisiche che mentali e dimostrano una superiore resistenza alle malattie. Questi ben noti risultati sono la ragione per cui la restrizione calorica è oggi una delle principali aree di ricerca in gerontologia e per cui essa sta ricevendo urgente attenzione dall’istituto nazionale sull’invecchiamento ( National Institute on Aging ) negli Stati Uniti.
Diamo quindi una breve occhiata alla storia della restrizione calorica e vediamo di cosa si tratta; come e perché funziona nel ritardare l’invecchiamento, per quanto sia possibile con le nostre limitate conoscenze attuali, e se funzionerà altrettanto efficacemente negli esseri umani quanto funziona nei roditori. Storicamente, il progresso di questo settore di ricerca può essere diviso in cinque fasi:

  1. La dimostrazione che la longevità media e massima dei roditori si estenda notevolmente in condizioni di restrizione calorica, arrivò nell’ormai lontano 1935 alla “Cornell University” ed è stata da allora confermata in dozzine di studi in altri centri di ricerca. Inoltre, è stato dimostrato che la frequenza di una ampia gamma di disturbi (virtualmente tutti i tipi di tumori, disturbi cardiovascolari, diabete, disturbi renali, disturbi autoimmunitari, degenerazione oculare ed altri) sia notevolmente ridotta negli animali sottoposti a restrizione calorica. Tale riduzione varia da due a dieci volte tanto; per esempio, in un tipo di roditore geneticamente predisposto al tumore alla mammella, il 50 per cento dei topi femmine del gruppo di controllo sviluppano il tumore, ma questo si riscontra solo nel 5 per cento dei topi femmine del gruppo sottoposto a restrizione calorica.

  2. L’effetto della restrizione calorica sulla durata della vita è stato significativo in ogni specie finora esaminata, dagli invertebrati (ragni, vermi, etc..) fino a pesci e roditori. Si può quindi presumere, con prudenza, l’esistenza di un effetto “generale” e non uno specifico fenomeno tipico dei roditori.

  3. L’aspetto degli animali sottoposti a restrizione calorica, i loro risultati nei test di abilità mentali e fisiche, i loro livelli sanguigni di glucosio, insulina, colesterolo, trigliceridi, i loro livelli di pressione sanguigna e, essenzialmente, di tutti i loro parametri fisiologici, corrispondono a quelli di animali cronologicamente molto, molto più giovani. Questo settore di ricerca, cioè l’effetto della restrizione calorica sui sistemi fisiologici, ha avuto origine nei laboratori agli inizi degli anni ‘70 e ha storicamente usato il sistema immunitario come termine di paragone. In questi ultimi venti anni, si è continuato con la ricerca e si sono anche utilizzati termini di paragone biochimici, endocrini, genetici e del comportamento.

  4. La ricerca del meccanismo per cui una restrizione selettiva delle calorie risulti in tali effetti globali su tanti sistemi diversi.

  5. La questione della trasferibilità degli stessi effetti nei primati e quindi negli esseri umani. E’ possibile ritardare l’invecchiamento e allungare la durata della vita con una dieta di restrizione calorica; e se sì, di quanto?

Quindi per l’uomo non sono ancora disponibili dati sperimentali, ma gli effetti positivi della restrizione calorica sono stati empiricamente dimostrati da diverse popolazioni. Un famoso detto degli abitanti dell’isola giapponese di Okinawa è “hara Hachi bu”, che significa letteralmente “pancia 80% piena”; in base a tale massima viene consigliato di mangiare circa l’80% del cibo necessario per sentirsi sazi. Semplicemente, si tratta di alzarsi da tavola quando si ha ancora un po’ di fame; l’apporto calorico medio di un abitante adulto di Okinawa è di 1800 calorie, contro le 2500 dell’americano medio. E la scelta della restrizione calorica sembra dare i suoi frutti, dal momento che la vita media di queste persone si riduce non appena si trasferiscono stabilmente negli Stati Uniti ed adottano le tipiche abitudini occidentali.
Per completezza, lo stile di vita giapponese si avvantaggia di abitudini salutari, almeno per quanto concerne l’alimentazione. Nonostante molti abitanti del Sol Levante fumino e conducano vite ricche di eventi stressanti, negli ultimi 6 anni il numero di Giapponesi che ha oltrepassato i 100 anni di età è raddoppiato; si ritiene che tale boom sia dovuto al prezioso binomio tra la crescente assistenza sanitaria ed uno stile alimentare tradizionalmente sobrio ed equilibrato.
La situazione giapponese diventa ancor più idilliaca se paragonata con quella americana, dove lo stile di vita non è altrettanto salutare, soprattutto per quanto riguarda le abitudini dietetiche. Non è quindi un caso che la principale causa di morte negli Stati Uniti sia legata proprio ad errate condotte di vita; la metà dei decessi che si verificano ogni anno in questo Paese sono il risultato di scelte comportamentali errate, tra le quali primeggia l’abitudine tabagica (18,1%), seguita dalla cattiva alimentazione associata alla sedentarietà (16,6%).
Oltre ad uscire dalla sedentarietà e migliorare le proprie abitudini alimentari, per contrastare l’invecchiamento è importante arricchire l’alimentazione con specifici supplementi dietetici. Mai come in questi ultimi anni, infatti, il cibo che arriva nelle nostre tavole è stato così povero di vitamine e di altri micronutrienti essenziali per il nostro benessere; a causa dei metodi di lavorazione industriale, che sottraggono nutrienti ai prodotti della natura, e ad un consumo ridotto di vegetali, è sempre più difficile coprire i fabbisogni di micronutrienti senza attingere al variopinto corredo di integratori dietetici. Affidandoci a questi prodotti possiamo attenuare l’innesco dei geni ancestrali programmati per “farci uscire dai giochi” a causa della ridotta disponibilità alimentare. D’altra parte, similmente a quanto avviene con la restrizione calorica, possiamo mantenere accesi più a lungo i geni della gioventù.
Che cosa è precisamente la restrizione calorica? Una dieta caratterizzata da un apporto calorico moderato, leggermente inferiore rispetto ai fabbisogni basilari; dando ad animali di laboratorio meno calorie di quelle che consumerebbero se potessero scegliere, li si fa vivere più a lungo, in migliori condizioni e con meno malattie. Queste poche calorie, però, non possono venire dall’equivalente della tipica dieta americana basata sul fast-food. Con la riduzione delle calorie, la qualità della dieta deve essere migliorata in modo che non vengano a mancare sufficienti livelli di sostanze nutrienti essenziali (vitamine, minerali, amminoacidi). Il motivo per cui le popolazioni sotto-nutrite in certe parti dell’ Africa o dell’Oriente non vivono più a lungo è che tali popolazioni non sono solo in uno stato di restrizione calorica, ma anche in uno stato di vera e propria malnutrizione, diversamente dall’esempio precedente di Okinawa.
Nella restrizione calorica, è essenziale che la dieta sia ottimale; una volta ottimizzata la dieta, meno calorie si assumono, più lunga è la vita, fino ad una restrizione di circa il 50 per cento nei roditori. Gli altri benefici menzionati si ottengono in maniera proporzionale; in altre parole, la restrizione calorica non è un fenomeno “tutto o niente”. Persino una restrizione del 10 per cento ha un effetto benefico misurabile. Naturalmente, esiste un limite che non si dovrebbe superare; scendendo sotto il 50 per cento di restrizione calorica, infatti, si entra in uno stato di inedia ed il tasso di mortalità aumenta. Una restrizione del 50 per cento non è quindi consigliata per gli esseri umani, in quanto troppo vicina a questo limite. Un adulto sano necessita di almeno 2000/2500 calorie al giorno; la dieta ipocalorica prevede di scendere a 1800/1600, addirittura 1200 calorie al giorno, anche se quest’ultima ipotesi è da scartare per i rischi dovuti alla denutrizione e alla mancanza di componenti essenziali per il metabolismo umano.
Qual è il meccanismo che si nasconde dietro gli incredibili effetti della restrizione calorica? Se ne conoscessimo a fondo il meccanismo d’azione, forse potremmo raggiungere gli stessi risultati con un metodo più accettabile di una stretta dieta permanente. Una cosa è certa. Gli effetti della restrizione calorica sono dovuti specificatamente alle calorie. Se i nutrienti essenziali sono presenti, le quantità relative di proteine, carboidrati e grassi non fanno differenza. La vita è estesa e la salute è migliorata. Al di là di questo semplice fatto, abbiamo l’imbarazzo della scelta. Il meccanismo d’azione della restrizione calorica può essere interpretato secondo la maggior parte delle attuali teorie dell’invecchiamento, cioè:

  • La restrizione calorica aumenta l’abilità dell’organismo di riparare il DNA;

  • La restrizione calorica riduce l’impatto dei radicali liberi nell’organismo;

  • La restrizione calorica aumenta i livelli di certe proteine ad azione protettiva e di riparazione, coinvolte nella reazione allo stress;

  • La restrizione calorica rende più efficiente il metabolismo del glucosio;

  • La restrizione calorica rallenta il declino immunologico che si presenta con l’avanzare dell’età (come dimostrato da praticamente tutti i test di funzionalità del sistema immunitario).

Meno calorie si introducono, meno energia si produce, meno ossigeno si brucia e meno radicali liberi si liberano. Quando il cibo è abbondante l’insulina stimola continuamente le cellule a bruciare il glucosio e permette loro di svilupparsi incessantemente. Ma nel mondo animale chi si sviluppa prima e arriva prima alla maturità sessuale, muore anche prima; ai suoi albori, la specie umana si è evoluta in condizioni in cui la vita mediana era poco più di 10 anni: solo 1 individuo su 4 giungeva a riprodursi con successo. Ci sono riusciti solo gli individui il cui corpo badava soprattutto a crescere più che a mantenersi perfetto e sano, degradando e sostituendo le parti che via via si ammaloravano. In altre parole, il dover raggiungere al più presto l’età della procreazione ha favorito il sottodimensionamento delle funzioni di un importante meccanismo degradativo e riparativo attivato dal digiuno: l’autofagia ovvero il processo con cui una cellula denutrita sacrifica alcune sue parti per fornire energia alle funzioni indispensabili. L’autofagia interviene anche come meccanismo di autodistruzione quando una cellula od i suoi organelli sono gravemente danneggiati, rischiando una deriva tumorale o un pesante accumulo di sostanze dannose, come avviene in alcune malattie neurodegenerative.
La restrizione calorica è la più efficace tecnica di prevenzione dei tumori oggi conosciuta, anche se è importante precisare che questo è solo un effetto collaterale della restrizione calorica e non la ragione principale del suo impatto sulla longevità.
Gli zuccheri e gli amidi, composti da lunghe catene di glucosio, durante la digestione si trasformano in glucosio, indispensabile per il metabolismo e fonte energetica dei muscoli. Tenendo sotto controllo la concentrazione di glucosio nel sangue (la glicemia) e quindi rallentando la produzione di insulina da parte del pancreas, che la secerne automaticamente in risposta all’innalzamento degli zuccheri nel sangue, si rallenta il metabolismo e la cellula invecchia più lentamente.
La capacità dei vari alimenti di influenzare i livelli di glicemia varia in base all’indice glicemico. Gli alimenti che più contribuiscono ai picchi di glicemia sono i dolci, l’alcool, le patate, e la pasta, il riso e il pane non integrali. I più favorevoli sono i legumi: ceci, fagioli, lenticchie, piselli secchi.
Ma per quanto i riscontri scientifici incontrovertibili e definitivi siano ancora remoti, ci sono già dei dati oggettivi e pubblicati sulle più autorevoli riviste del settore.
Negli esperimenti condotti sui lieviti da David Sinclair, la restrizione calorica si è dimostrata in grado di attivare un gene chiamato SIRT1. Questa sequenza genica codifica per l’enzima SrT1 deacetilasi, che stabilizza il DNA estendendo la durata della vita. Tale capacità è stata attribuita anche ai polifenoli, sostanze antiossidanti che in alcuni esperimenti hanno aumentato la longevità dei lieviti del 70%. Un potente polifenolo, chiamato resveratrolo, è contenuto nel vino rosso.
Gli scienziati dell’Istituto “Max Planck” per la biologia dell’invecchiamento di Colonia hanno scoperto che un recettore ormonale costituisce un importante link tra nutrizione ed aspettativa di vita nei nematodi, ovvero piccoli organismi vermiformi.
La proteina recettrice NHR-62 sembra aumentare la durata della vita di questi animali di circa un 20 per cento quando il loro apporto calorico è ridotto. Inoltre, un altro studio ha dimostrato che il recettore ormonale NHR-8 influenza lo sviluppo nell’età adulta nonché la durata massima di questi invertebrati. Potrebbe essere possibile che gli ormoni legati a questi recettori siano anche competenti per regolamentare l’aspettativa di vita negli esseri umani.
Il nematode “Caenorhabditis elegans” vive solo circa 20 giorni e ciò lo rende un soggetto di ricerca ideale, in quanto l’intero ciclo di vita dell’invertebrato può essere studiato in breve tempo. In più, questo nematode è formato da un numero di cellule inferiore a mille, la sua genetica è stata ampiamente analizzata, e contiene molti geni simili a quelli degli esseri umani. Gli scienziati dell’equipe di Adam Antebi, presso il già citato Istituto “Max Planck”, hanno quindi deciso di utilizzare il “Caenorhabditis elegans” per scoprire come gli ormoni possano influenzare l’invecchiamento. Essi sono particolarmente interessati a recettori ormonali che si trovano nel nucleo delle cellule e che regolano l’attività dei geni metabolici.
I loro risultati indicano che il recettore NHR-62 deve essere attivo a seguito di un ridotto apporto dietetico per prolungare la vita di questi organismi. Se NHR-62 è attivo, i “Caenorhabditis elegans” vivranno il 25% più a lungo sotto restrizione dietetica che se questo recettore è inattivo. Di conseguenza sembrerebbe che ci sia un ormone ancora sconosciuto, in grado di regolare la durata della vita attraverso il recettore NHR-62; se si riuscisse ad identificare questo ormone e a somministrarlo al nematode, sarebbe possibile prolungare la sua vita, senza dover cambiare il suo apporto calorico.
Una dieta ristretta colpisce anche l’espressione dei geni in modo massiccio: dei circa 20.000 geni dell’invertebrato, 3.000 cambiano la loro attività e 600 di questi mostrano una dipendenza dal recettore NHR-62; ne consegue che ci sono molti altri candidati per migliorare la speranza di vita. Dal momento che gli esseri umani hanno recettori simili a NHR-62, i cosiddetti HNF-4α, gli scienziati del “Max Planck” sospettano che i recettori ormonali possano non solo controllare la durata massima di vita dei nematodi, ma anche influenzare gli esseri umani.
Tuttavia, la nutrizione influisce sulla durata della vita in vari altri modi; un altro studio da parte degli scienziati ha dimostrato che i vermi privi del recettore dell’ormone NHR-8 rimangono più a lungo in una fase pre-puberale prima di raggiungere l’età adulta. Inoltre essi tendono a morire prima rispetto agli animali presentanti questo recettore. NHR-8 è un recettore nucleare, responsabile della regolazione del metabolismo del colesterolo; in assenza di questo recettore, il microrganismo non può produrre abbastanza ormoni steroidei dal colesterolo e raggiunge quindi la maturità sessuale più tardi. Inoltre, il suo metabolismo relativo agli acidi grassi varia in maniera da contribuire, anch’esso alla riduzione dell’aspettativa di vita.
Recettori simili all’NHR-8 sono stati rintracciati anche negli esseri umani. In teoria il metabolismo del colesterolo potrebbe, anche negli esseri umani, regolare lo sviluppo fisico e influenzare l’aspettativa di vita.
Ma se l’Istituto “Max Planck” di Colonia è giunto a questo, noi in Italia non siamo molto da meno. Un gruppo di studiosi fiorentini del Dipartimento di Scienze biomediche, sperimentali e cliniche, coordinato da Gianfranco Liguri e del quale fanno parte Cristina Cecchi e Mariagioia Zampagni, ha testato con successo sullo stesso verme nematode un nuovo antiossidante ottenuto combinando derivati del glutatione ed acidi grassi polinsaturi, due sostanze coinvolte nella protezione dell’organismo dai radicali liberi e nella regolazione dei processi infiammatori. I ricercatori hanno dimostrato che il nuovo composto, usato come nutriente, è in grado di prolungare la vita di “Caenorhabditis elegans” da quattordici a diciannove giorni; i risultati dello studio, l’ultimo di una serie di lavori del gruppo di ricerca, sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Free Radical Biology & Medicine.
«Questa scoperta» spiega Gianfranco Liguri «apre una prospettiva concreta per lo sviluppo di strategie mirate al prolungamento del tempo di vita in stato di salute anche negli organismi superiori, poiché il meccanismo di azione con cui questi composti esercitano la loro attività, da quanto emerge dalla nostra ricerca, è alla base anche dell’effetto pro longevità della deprivazione calorica, ed è sostanzialmente operante anche nella specie umana.».
Lo stesso antiossidante si è rivelato efficace, tra l’altro, nel contrastare i danni cellulari dalle radiazioni ionizzanti e gli effetti tossici neuronali esercitati dal beta-amiloide, il meccanismo ritenuto responsabile della malattia di Alzheimer.

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1 commento

  1. Non credo che riesco a trovare materiale pi\ completo di questo

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