Super capsule per mangiare: la Nestlè pensa ad un futuro senza cibo
Super capsule per mangiare addio al cibo
I propositi di Nestlè per un futuro non troppo lontano fanno rabbrividire l’industria agroalimentare del mondo, e anche i suoi abituali consumatori.
Il progetto della multinazionale svedese – che è solo l’ultimo di una lunga serie – è stato affidato al Nestlè Institute of Health Sciences di Losanna e prevede di creare un macchinario simile a quello del caffè, che permetterà di miscelare i fattori nutritivi essenziali per l’essere umano in un unico “beverone”: il suo nome è Iron Man (anche se molti l’hanno già ribattezzato “replicatore”, dal simile aggeggio presente in Star Trek) e «prenderà il posto del vostro microonde in cucina».
L’idea non è nuova: a partire dalle suffragette, col loro sogno di liberare le donne dalla schiavitù della cucina, rendere il cibo obsoleto è un concetto che ha attraversato a fasi alterne tutto il ‘900, fino ad arrivare a oggi.
Uno degli esperimenti più apprezzati in tal senso è stato quello di Rob Rhinehart, che l’anno scorso ha provato sulla propria pelle per cinque settimane un beverone da lui creato, dosando a seconda delle esigenze le proprietà nutritive contenute in esso.
Il risultato, descritto dallo stesso scienziato, fu ovviamente miracoloso, e in cinque settimane la vita di Rhinehart migliorò sensibilmente. A essere evidenziato fu anche il risparmio di tempo: cinque minuti al giorno “sprecati” mangiando anziché le solite due ore.
Vogliamo chiamarla evoluzione?
Ma «mangiare non è solo buttar giù proteine e vitamine» replica l’ex direttore dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr di Avellino Antonio Malorini, e come dargli torto. «[Sono cose che] non funzionano nemmeno dal punto di vista teorico.
Perché stiamo scoprendo che molte sostanze che si pensavano inutili dal punto di vista nutrizionale hanno effetti importanti sull’espressione dei geni. Anche il limone nel tè, per dire.
L’alimentazione è un complesso intricato di relazioni biologiche, ed è impossibile che oggi un pasto sintetico riesca a tenere conto di tutto».
L’immagine di una famiglia che si riunisce attorno a una tavola imbandita, quella di un coltivatore che lavora la propria terra, il senso agricolo dell’atto di mangiare (che Slow Food da circa tre decenni cerca di riportare alla luce) viene eclissato dagli artifici della scienza, che risultano obsoleti di fronte a una situazione in cui basterebbero poche scelte politiche adeguate per riequilibrare e redistribuire le risorse nel mondo. Si parte dalle decisioni di tutti i giorni: leggere l’etichetta, consumare prodotti migliori, decidere della proprio agroeconomia attraverso i consumi.
Insomma, questi sforzi scientifici sono sicuramente memorabili, ma non sarebbe più produttivo incanalarli in altri ambiti, magari rispettando la natura dell’essere umano e non provando a trasformarlo in un automa?
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